La chiamavano la fatina triste, chissà perchè poi. Forse perchè nelle foto, mentre tutti gli altri facevano le gare per il sorriso più splendente, rimaneva in disparte, in basso a destra, oppure si sforzava di sorridere, ma tutto quello che otteneva era una bocca storta. Ed era lì, fissa nell'immagine della foto, mentre guardava lontano, guardava fuori. E intanto il mondo le passava avanti.
La chiamavano la fatina triste, essì che ce ne voleva a definirla triste: era ironica, solare, gentile. Praticamente da sposare. Aveva ed ha un ragazzo, una famiglia alle spalle che gli vuole bene, l'Università ed una vita tutta sua con milioni di progetti a riempirla.
La chiamavano la fatina triste forse perchè era sempre insoddisfatta. O forse perchè, più che altro, era sfortunata. Ma non di quella sfortuna accanita e cattiva. Piuttosto quella che ti fa rimanere un passo indietro rispetto a chi ti sta vicino. Allora tutto si fa un pochino piì difficile per te. Solo ed esclusivamente per te, mica per gli altri. Ti rimangono quindi due soluzioni: abbattersi, perdendo tutto, oppure ringhiare. E la fatina triste ringhiava, eccome se ringhiava.
La chiamo la fatina triste, l'ho rivista l'altro giorno. Non è cambiata in niente. E col tempo ho capito che quella che si porta dietro non è tristezza: è solo il modo per farci capire che lei, a differenza di molti di noi, ancora riesce a sognare.